I Consigli di Ettore Messina: Esigenza
DAL LIBRO “BASKET, UOMINI E ALTRI PIANETI” DI Ettore Messina Editore: Mondadori.
“Un Allenatore esigente che vince è uno che lavora tanto e pretende in proporzione, venendone ripagato dai Giocatori con impegno e dedizione. Un Allenatore esigente che perde è uno che esagera con i carichi di lavoro e pretende troppo, finendo per essere lasciato a piedi da Giocatori umiliati e stressati. Al di là della percezione che se ne ha dall'esterno, quello di essere “esigente” è un concetto che mi sta molto a cuore. A inizio stagione ho letto con enorme piacere il blog di Tomas Van den Spiegel, che ho allenato sia a Mosca sia a Madrid. Ve ne riporto qualche riga perchè credo ci possa aiutare ad esprimere al meglio il concetto:
“Ettore è l'Allenatore più esigente che abbia mai incontrato durante la mia carriera. “Esigente” non significa che ci chiedeva di allenarci sei ore al giorno, anzi. Tutto quello che ci chiedeva erano due ore al giorno, ma PERFETTE. Nel momento in cui mettevi piede sul campo, dovevi essere perfetto. Con altri Allenatori sono sempre riuscito, nei giorni in cui non mi sentivo ispirato, a nascondermi un pò e risparmiare energie per le partite. Non con Messina, lui mi avrebbe “sgamato” dopo cinque minuti. Le regole offensive e difensive che ci dettava erano così chiare e logiche che non c'era maniera di girarci intorno. Era come andare a lezione di matematica, ogni giorno. C'era la possibilità di discutere, lui stava a sentire, ma alla fine quel che diceva Ettore aveva comunque più senso. Non ho mai avuto problemi ad accettare questo sistema perchè era chiaro a tutti che l'Allenatore pretendeva da se stesso anche di più di quello che pretendeva dagli altri. Un'altra cosa che lo distingueva era la totale fiducia nei suoi Giocatori. Gli Allenatori Europei, a differenza dei loro colleghi Nba, tendono a controllare il comportamento dei Giocatori fuori dal campo. Messina invece non ha mai creduto che farci svegliare presto, controllare a che ora andassimo a letto o preoccuparsi della nostra alimentazione fosse parte del suo lavoro. Finchè tu eri perfetto in quelle due ore al giorno, lui credeva incondizionatamente in te. E' una cosa importantissima se vivi da Professionista, perchè nessuno conosce cosa serve per rendere al massimo meglio di te stesso”.
“In queste parole mi sono ritrovato. Sopratutto nel concetto di pretendere che le cose vengano fatte bene e con partecipazione, evitando di ripetere gli errori causati da lassismo e superficialità. Posso essere caduto a volte in un eccesso di esigenza. A Madrid sono andato oltre fermandomi troppo sul singolo errore, ma non credo che questo abbia creato aspettative illogiche alla Squadra, semmai a me. E non credo neppure che sia stato il problema al Real.
Vedendo Fisher e Kobe mi convinco sempre più dell'importanza di poter contare su leader che si facciano portatori di un certo tipo di cultura del gruppo. Leader che ho quasi sempre avuto nelle mie Squadre e che, appena uscito dallo spogliatoio, sapevo avrebbero rinforzato sul campo il mio messaggio mettendo sui compagni quello che qui chiamano PEER PRESSURE, l'aspettativa che arriva dai colleghi e non dall'alto. Smodis, Langdon, Holden, Papaloukas, Ginobili, Vanterpool, Nesterovic, Nicola, Pittis sono stati Giocatori e Leader di questo tipo.
E quando chi guida il pulman è così, quelli seduti dietro non sbagliano mai strada”.